Nei secoli dell’alto Medio Evo, tra l’VIII e l’XI sec., nell’Italia meridionale si succedono vicende storiche che si intersecano e si fondono in un viluppo che appare alquanto caotico.

Tuttavia, ad un più attento esame, si può ritrovare una certa unità in quel guazzabuglio relativo ad una regione che, per la sua posizione geografica, offriva condizioni favorevoli ad incontri tra popolazioni e a scambi di civiltà. Questo concetto emerge con chiarezza analizzando cronache antiche, le quali ci forniscono la chiave per comprendere senza possibilità di equivoci quale sia stato il sentimento degli autori verso i loro contemporanei. C’è solo da chiedersi come mai nell’alto Medio Evo furono solo i monaci a dedicarsi alla storiografia; la risposta forse è semplice poiché le abbazie e i conventi, largamente aperti a sovrani, pellegrini e mercanti, erano gli unici centri di informazione e (quasi inutile ricordarlo) gli unici centri di cultura esistenti.

Una di queste opere, il Chronicon Salernitanum, è per noi particolarmente interessante perché ci offre una notevole messe di notizie sul nostro territorio che difficilmente potremmo reperire altrove. Il nome dell’autore del Chronicon non ci è pervenuto, tuttavia sappiamo che fu salernitano di nobile famiglia longobarda, anch’egli fiero della sua stirpe; fu monaco benedettino nel convento di S. Benedetto a Salerno, del quale forse fu anche abate. Uomo di discreta cultura, l'anonimo del Chronicon visse nella seconda metà del X secolo; egli nella sua opera fa largo uso di citazioni dai testi patristici e classici, in più dispone di larghe fonti di documentazione, che introduce spesso nella sua narrazione. Tuttavia si avvale in misura anche maggiore della tradizione orale ed ama drammatizzare il racconto ravvivandolo con fantasiosi dialoghi tra i protagonisti; le storie che egli racconta si propongono di essere piacevoli e didascaliche, ma risultano di una ingenuità quasi infantile, sfociando talvolta nell'umoristico e nel grottesco. In ogni caso sembra che il concittadino Masuccio, autore nel XV sec. del famoso Novellino, più che alla tradizione boccaccesca abbia attinto all'Opera del nostro anonimo autore del Chronicon che si esalta nella varietà dei racconti romanzati e favolistici, nella ricchezza della fantasia disposta a drammatizzare gli eventi; pur con le riserve di qualche illustre critico (ad es. lo Schipa), il Chronicon Salernitanum rappresenta un significativo documento letterario del X secolo. D'altronde nei sec. IX e X scarseggiano i testi letterari ed è per questo che la cronaca del monaco di Salerno ci appare come documento singolare per vivacità di narrazione, per vigore di fantasia e per il fascino stesso del suo latino così scorretto, ma anche così espressivo.

Il titolo dell'opera (Chronicon Salernitanum) è stato coniato verso la metà dell'800 dallo storico tedesco Georg Heinrich Pertz, ma l'intitolazione non sembrerebbe pertinente; infatti nel codice più antico (il Vat. lat. 5001) il testo non ha titolo (i filologi lo dicono "anepigrafo"). Forse è andata perduta una prima parte di capitoli, tant'è che, fin dall'inizio, si entra subito in "medias res" con la cronaca dei principi longobardi meridionali dall'inizio del governo di Arechi (758) fino al trentunesimo anno di Pandolfo Capodiferro (974) e non si pone nessun accento particolare sulla storia del principato di Salerno, anzi spesso la visione si allarga a tutta l'Europa, dall'età carolingia a quella ottoniana.

In definitiva mi sembra, in tutta modestia, che quella del Chronicon sia una lettura da poter consigliare a quanti amano conoscere fatti e vicende di un passato ormai lontano (con un po’ di fortuna è possibile scovare qualche copia dell'opera).